giovedì 26 settembre 2013

ELEGIA DI LEYLA KHALED



Ti devastarono l'infanzia, Leyla Khaled.
Come una spiga
o lo stelo di un fiore,
ti infransero
gli anni dello stupore e della tenerezza
e distrussero la porta della tua casa
perché entrasse il vento dell'esilio.
E prendesti a vagare
la patria sulle spalle
la patria divenuta ricordo
di un luogo cancellato dalle mappe
e faceva male ogni ora di più
e diventava più triste del silenzio
e gridava più forte nel castigo.
E un giorno, Leyla Khaled, notte pura,
notte ferita di stelle, ti sei trovata
i campi, i paesi, i sentieri
tatuati sulla pelle del ricordo
muovendosi nel tuo sangue rosso e vivo
riempiendoti gli occhi della loro sete
le mani e le spalle di fucili,
di fiera ribellione le insonnie.
E iniziarono a chiamarti con nomi
amari di ignominia,
ti lanciarono urla come spine
dai quattro punti cardinali,
e marcarono il tuo passo con il ferro
dell'obbrobrio.
Tu, sorda e cieca, in mezzo
agli avidi artigli nemici,
ardevi nel tuo fuoco, camminavi
di frontiera in frontiera,
difendendo il tuo petto dall'odio
con l'incerta certezza del ritorno
alla terra luttuosa di cui fosti
da mille mani straniere derubata.
Ti videro i deserti, le città,
la fretta dei treni, febbricitante,
assorta nel tuo destino guerrigliero,
negandoti l'amore e i singhiozzi,
perdendoti alla fine tra le ombre.
Non si sa, non so, quale è stata la tua direzione,
se giaci sotto la polvere, se procedi
per le valli del mare, profonda e sola,
o ti muovi ancora con il passo
felino dell'animale inseguito.
Nessuno sa. Non so. Ma ti alzi
di scatto nella nebbia dell'insonnia,
iraconda e terribile Leyla Khaled,
pecora in lupa trasformata, rosa
dal dolce tatto in morte trasformata.

MEIRA DELMAR

Traduzione dallo spagnolo di Giulia Spagnesi

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